Negli abissi del web: tra droghe, armi e traffici illegali
Negli abissi del web
Quello che vediamo della rete è solo lo 0,2%. Il resto? Nascosto. Spesso per scelta. Tra droghe, armi e traffici illegali.
La fisica lo insegna: di un iceberg vediamo, fuori dall’acqua, appena il 10%. Il resto sta sotto, molto sotto. E se pensate che il B-15, l’iceberg più grande al mondo, ormai disintegrato, aveva un’estensione visibile maggiore dell’intera Giamaica, capite bene quanto possa venire nascosto agli occhi. La biologia lo insegna: le profondità dell’oceano nascondono creature che nessun occhio umano ha mai visto, se non con la telecamera di qualche sonda. Mostri marini come lo Stareater, il Viper Fish, il Black Swallower e il Fangtooth. Creature senza occhi con capacità predatorie da far invidia a un leone. L’informatica lo insegna: del web vediamo appena lo 0,2%, detto “clear web” o “web in chiaro”
Immaginate, anche se è difficile, di avere davanti tutti i siti del mondo raggiungibili tramite Google. I siti di musica, porno, sport, porno, cinema, porno, scienza, porno, cura della cecità da porno… tutti, ma proprio tutti. In tutte le lingue del mondo. Ecco, moltiplicateli per 550 e ci siete: è il web nascosto, o Deep Web. Si tratta di tutti quei siti che non sono raggiungibili dai principali motori di ricerca. Una buona parte per questioni tecniche, una percentuale minore, invece, per scelta deliberata dei propri creatori. Ogni giorno, per il sito di Rolling Stone, versiamo lacrime e sangue con lo scopo di farci vedere il più possibile su Google, quindi perché qualcuno dovrebbe fare di tutto per starne alla larga? Perché questo qualcuno non deve pubblicare la recensione di Morrissey, ma magari documenti top secret coi quali svelare i giochi di potere di qualche governo che impone la censura della stampa, nel web in chiaro.
Questo nella migliore delle ipotesi. Perché rimanere invisibili agli occhi di Google, Bing o Yahoo consente pure di vendere mercanzia illegale che va dalla cocaina alle più esotiche droghe sintetiche, passando per armi, materiale pedopornografico, farmaci e roba che solo a visitare la pagina che la descrive si rischia l’arresto. Per questo, la zona di Deep Web che sta nell’abisso più oscuro, alla base sommersa dell’iceberg, si chiama Dark Web. Qui, nel bel mezzo del buio digitale, si vive nella libertà più assoluta. Il problema, è che vi si annidano anche i mostri degli abissi. Che uccidono.
Grant Seaver e Ryan Ainsworth sono due amici di 13 anni, che abitano a Park City, cittadina rurale nello Utah: la loro vita è quella di due normali teenager. Le conversazioni via WhatsApp tra i due rispecchiano le loro passioni, ma nel settembre del 2016 iniziano a riempirsi di parole strane e due stringhe ricorrenti: U-4 e “pink”. Due termini che si riferiscono alla stessa cosa: l’U-47700, una droga sintetica dalla potenza devastante, di cui i due ragazzini parlano con ammirazione. È Grant, il più audace, a fare la proposta: perché non provarla?
In uno studio del 2016, intitolato Cryptopolitik and the Darknet, emerge che il 57% dei siti analizzati nel Dark Web sono dediti ad attività illegali. Non parliamo di grossi numeri, se pensiamo che ci si riferisce a 2723 siti su 5205, ma di una potenza di fuoco devastante. Il problema di questo mondo sommerso è che è semplice da raggiungere e utilizzare, e a quel punto diventa uno strumento d’elezione per criminalità più o meno organizzata e potenziali clienti. Di base, vi racconteranno che per entrare nel Dark Web basta installare il browser Tor, una versione modificata di Firefox capace di utilizzare una tecnologia crittografica per mantenere anonime le connessioni. E questo è vero. Com’è vero che, con Tor, potete accedere a qualche sito che vende robaccia illegale. Anche cosette interessanti, intendiamoci, come mitra, bombe, droghe più o meno pesanti. Il punto è che, al giorno d’oggi, più è semplice arrivare a un sito illegale, più è probabile che si tratti di uno “scam” che quella roba non la vende affatto
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.rollingstone.it/rolling-affairs/reportage/negli-abissi-del-web/2018-01-28/#Codice
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)