Nuove dipendenza: la sindrome da shopping compulsivo
Nuove dipendenze15-07-2016
Sindrome da shopping compulsivo
Resa famosa dal libro e dal film I love shopping, secondo le ultime stime circa il 5% della popolazione soffre di questa sindrome. E anche se siamo tutti un po' compratori impulsivi risulta che essere giovane e di sesso femminile siano fattori di rischio. Ma altri studi rilevano parità tra uomini e donne. La psicologa fa il punto con noi su motivazioni psicologiche e significati di un disturbo moderno
di Brunella Gasperini, psicologa
La scienza dice che siamo bravi a capire quando abbiamo necessità di qualcosa ma non altrettanto nell’identificare di cosa abbiamo veramente bisogno. Questo avviene anche nei comportamenti di acquisto. Spesso si comprano cose che crediamo ci servano, mentre in realtà cerchiamo contatto umano, di sollevarci dalla noia, di sentirci competenti, di gratificarci con qualcosa di unico e di bello. Comprare, e spendere soldi, ci fa sentire potenti, ci dona sollievo. “Regalarsi” oggetti è simbolo di conferma, premio, affetto. Un bel paio di scarpe nuove, inutile negarlo, può svoltare una giornata. Lo shopping è un’attività che ci mette in contatto con le nostre emozioni più profonde: può dare significato alla vita al pari di altre attività, per quanto lo riteniamo superficiale.
Siamo inoltre un po’ tutti compratori impulsivi. In particolare quando il prodotto o la marca che stiamo acquistando esprime il nostro senso di identità. La psicologia degli acquisti ha scoperto che siamo più propensi ad acquistare d’impulso quando siamo stanchi, ci sfuggono situazioni di mano e abbiamo bisogno di controllo: le vendite aumentano ad esempio dopo eventi estremi. È più probabile inoltre che si facciano acquisti quando siamo con gli amici e meno con i parenti.
Una grossa fetta di budget del marketing è del resto dedicata a come stimolare la spesa sconsiderata e senza cervello, fondamentale per la nostra economia. Viviamo per di più in un mondo di vendite, di consumi competitivi, dove ci viene detto che la felicità è legata alla possibilità di comprare tante cose, e dove le opportunità di spesa sono sempre più ampliate da Internet e dallo shopping on line. Per questo non è facile distinguere nettamente tra acquisti “normali” e incontrollati. Tra comportamento di svago e disturbo compulsivo. Condizione, quest’ultima, spesso sottovalutata, non riconosciuta e non trattata che può avere conseguenze molto serie.
Nonostante sia pian piano uscito dall'armadio, non si limiti cioè solo alla quantità di vestiti o oggetti accumulati, l’interesse scientifico per il disturbo di acquisto compulsivo, spesso vera dipendenza, è relativamente all’inizio rispetto a sindromi più “famose” (problemi alimentari, abuso di sostanze, gioco d'azzardo). Non ci sono infatti ancora ricerche sufficienti ma soprattutto condivisione di criteri, uniformità di misure, consenso sulla definizione, come mette in luce il lavoro degli psicologi Aniko Maraz, Mark D. Griffiths e Zsolt Demetrovics, pubblicato nel mese di marzo 2016 sulla rivista statunitense Addiction, una meta analisi basata sui dati disponibili sull’acquisto compulsivo provenienti dagli studi di vari paesi del mondo. Si tratta in effetti di un disturbo complesso, ancora difficile da classificare, sul quale la ricerca futura dovrà riflettere attentamente.
Tanto è vero che ancora non è contemplato nel DSM5 (il manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali riconosciuto in tutto il mondo), pubblicato nel 2013. Ad oggi viene considerato un disturbo del controllo degli impulsi. La maggior parte degli studi concorda comunque nel delineare questa sindrome come una eccessiva spinta agli acquisti che porta a conseguenze negative: disagio soggettivo, interferenza con il funzionamento sociale e lavorativo, problemi finanziari. E’ la natura impulsiva-compulsiva a caratterizzarlo: non si riesce a resistere alla tentazione di compiere un atto, anche se dannoso, per ottenere una gratificazione immediata. Si continua a comprare, quindi, nonostante i conti in rosso sulla carta di credito, chiamate dei creditori, gli armadi stracolmi di roba. Si pensa che lo shopping sia sotto controllo rifiutando di riconoscerne il problema. Una situazione descritta perfettamente, e con ironia, nel film I love shopping con Isla Fisher, tratto dalla serie di libri di Sophie Kinsella.
Si prendono cose che non servono, che non piacciono oppure repliche infinite. Non è quindi tanto la quantità di cose che deve insospettire, quanto la qualità: perché si compra, cosa e in quale modo. L’acquisto smuove infatti emozioni intense: sensazioni ipnotiche, magiche, quasi un flirt con l’oggetto desiderato, eccitazione, perdita di controllo. Ma poi anche sensi di colpa, scoraggiamento, vergogna, vuoto interiore.
Il profilo del "tipico" compratore compulsivo è sfuggente. Come in altre dipendenze, lo spettro del “tossicodipendente commerciale” riflette un insieme di persone molto diverse tra loro per età e sesso, status socio-economico, intensità del comportamento e motivazioni di fondo. Sono diversi anche i modelli di acquisto. Alcuni quotidiani, in altri casi "abbuffate” occasionali, a volte caccia all’affare, altre accaparramento compulsivo.
(...omissis...)
Siamo inoltre un po’ tutti compratori impulsivi. In particolare quando il prodotto o la marca che stiamo acquistando esprime il nostro senso di identità. La psicologia degli acquisti ha scoperto che siamo più propensi ad acquistare d’impulso quando siamo stanchi, ci sfuggono situazioni di mano e abbiamo bisogno di controllo: le vendite aumentano ad esempio dopo eventi estremi. È più probabile inoltre che si facciano acquisti quando siamo con gli amici e meno con i parenti.
Una grossa fetta di budget del marketing è del resto dedicata a come stimolare la spesa sconsiderata e senza cervello, fondamentale per la nostra economia. Viviamo per di più in un mondo di vendite, di consumi competitivi, dove ci viene detto che la felicità è legata alla possibilità di comprare tante cose, e dove le opportunità di spesa sono sempre più ampliate da Internet e dallo shopping on line. Per questo non è facile distinguere nettamente tra acquisti “normali” e incontrollati. Tra comportamento di svago e disturbo compulsivo. Condizione, quest’ultima, spesso sottovalutata, non riconosciuta e non trattata che può avere conseguenze molto serie.
Nonostante sia pian piano uscito dall'armadio, non si limiti cioè solo alla quantità di vestiti o oggetti accumulati, l’interesse scientifico per il disturbo di acquisto compulsivo, spesso vera dipendenza, è relativamente all’inizio rispetto a sindromi più “famose” (problemi alimentari, abuso di sostanze, gioco d'azzardo). Non ci sono infatti ancora ricerche sufficienti ma soprattutto condivisione di criteri, uniformità di misure, consenso sulla definizione, come mette in luce il lavoro degli psicologi Aniko Maraz, Mark D. Griffiths e Zsolt Demetrovics, pubblicato nel mese di marzo 2016 sulla rivista statunitense Addiction, una meta analisi basata sui dati disponibili sull’acquisto compulsivo provenienti dagli studi di vari paesi del mondo. Si tratta in effetti di un disturbo complesso, ancora difficile da classificare, sul quale la ricerca futura dovrà riflettere attentamente.
Tanto è vero che ancora non è contemplato nel DSM5 (il manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali riconosciuto in tutto il mondo), pubblicato nel 2013. Ad oggi viene considerato un disturbo del controllo degli impulsi. La maggior parte degli studi concorda comunque nel delineare questa sindrome come una eccessiva spinta agli acquisti che porta a conseguenze negative: disagio soggettivo, interferenza con il funzionamento sociale e lavorativo, problemi finanziari. E’ la natura impulsiva-compulsiva a caratterizzarlo: non si riesce a resistere alla tentazione di compiere un atto, anche se dannoso, per ottenere una gratificazione immediata. Si continua a comprare, quindi, nonostante i conti in rosso sulla carta di credito, chiamate dei creditori, gli armadi stracolmi di roba. Si pensa che lo shopping sia sotto controllo rifiutando di riconoscerne il problema. Una situazione descritta perfettamente, e con ironia, nel film I love shopping con Isla Fisher, tratto dalla serie di libri di Sophie Kinsella.
Si prendono cose che non servono, che non piacciono oppure repliche infinite. Non è quindi tanto la quantità di cose che deve insospettire, quanto la qualità: perché si compra, cosa e in quale modo. L’acquisto smuove infatti emozioni intense: sensazioni ipnotiche, magiche, quasi un flirt con l’oggetto desiderato, eccitazione, perdita di controllo. Ma poi anche sensi di colpa, scoraggiamento, vergogna, vuoto interiore.
Il profilo del "tipico" compratore compulsivo è sfuggente. Come in altre dipendenze, lo spettro del “tossicodipendente commerciale” riflette un insieme di persone molto diverse tra loro per età e sesso, status socio-economico, intensità del comportamento e motivazioni di fondo. Sono diversi anche i modelli di acquisto. Alcuni quotidiani, in altri casi "abbuffate” occasionali, a volte caccia all’affare, altre accaparramento compulsivo.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://d.repubblica.it/attualita/2016/07/15/news/shopping_compulsivo_psicologia-3139496/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)