Riflessione di una psicologa sui malati di shopping
Riflessione di una psicologa sui malati di shopping
di Raffaella D'Antuono
“Un uomo non ti tratterà mai meglio di un grande magazzino“. Se è così, allora, è vero quello che sosteneva Rebecca Bloomwood nel famoso bestseller I Love Shopping . Anche se, a volte, può essere solo il sintomo di una pericolosa patologia che spinge a comprare, in modo ossessivo-compulsivo, di tutto e di più.
Una malattia figlia di una società che alimenta falsi bisogni che hanno gradualmente trasformato l’acquisto e il possesso di un prodotto in una vera e propria fonte di felicità. Per credere, leggere l’ultimo report SWG-Greenpeace condotto su un campione rappresentativo di consumatori italiani 20-45 anni. Alla domanda perché fai shopping, il 65% ha risposto per sentirmi euforico e soddisfatto; il 54% contro la noia; il 52% per tirarmi su di morale; il 48% per alleviare lo stress.
Si compra più per colmare un vuoto interiore che un bisogno reale. In Italia le vittime preferite di questa infernale trappola dello shopping sono, soprattutto, donne residenti delle regioni del Nord-Ovest e del Sud, tra i 30 e i 39 anni, con bassi livelli di studio e un forte debole per cosmetici, capi d’abbigliamento, scarpe e gioielli. Non mancano, però, pur se in misura assai inferiore, anche i maschi le cui preferenze si concentrano, in particolare, su telefonini, computer e altri accessori tecnologici.
Lo shopper-compulsivo, una volta “gustato” il legame tra acquisti e (pseudo) benessere è probabile che desideri di riviverne l’esperienza fino a perdere totalmente il controllo del proprio comportamento. Con ripercussioni sulla vita sociale, lavorativa e personale, oltre che sulle tasche, semplicemente devastanti.
Insomma, entra in un negozio per trovare sollievo e ne esce con un pieno di solitudine.
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(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)