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Gestione della rabbia e comportamento aggressivo: istruzioni per l’uso

Gestione della rabbia e comportamento aggressivo: istruzioni per l’uso

Gestione della rabbia e comportamento aggressivo: istruzioni per l’uso

 



Ci sono alcuni individui che mantengono un autocontrollo e cercano modi socialmente accettabili per alleviare la tensione; altri che invece danno il via ad un comportamento aggressivo. Ma cosa permette di identificare questo ripo di comportamento, o meglio, quali sono le caratteristiche di una persona aggressiva?

Anzitutto si tratta di un individuo che non rispetta i limiti né la dignità altrui, che è concentrato sui propri desideri, spesso a spese altrui; una persona che tende ad imporsi e a dominare gli altri, che non ammette quasi mai di aver torto e ancora, in situazioni problematiche può diventare violento, spesso viene evitato dagli altri per le sue “esplosioni” di rabbia, ed infine è generalmente insoddisfatto di sé ( riversando così la propria frustrazione sugli altri e scaricando il proprio senso di impotenza). Un individuo aggressivo è quindi spesso rabbioso, irruento.. una pentola a pressione pronta ad esplodere da un momento all’altro.

Ma è così pericolosa la rabbia? Questa domanda sorge spontanea se pensiamo al fatto che durante l’evoluzione della specie umana si sono perse quelle appendici “inutili” o comunque non indispensabili  alla filogenesi; se la rabbia quindi è giunta sino a noi, significa che magari non è così pericolosa come si crede. Oggi come oggi, e in eredità dal nostro passato cristiano, la rabbia veniva e viene tuttora spesso considerata socialmente sconveniente e per questo ai bambini viene insegnata la “repressione” di tale emozione. Alla luce di ciò viene dunque spontaneo chiedersi cosa sia la rabbia da dove venga e a cosa serve. Ebbene, anzitutto si tratta in particolare di una reazione di sdegno spesso improvviso che si manifesta con parole ed atti di violenza.

È un’emozione perché tende a non durare nel tempo. Se ciò dovesse avvenire, allora, in quel caso, si trasforma in un sentimento: il rancore. Quando siamo incolleriti avvertiamo chiaramente un disagio e una tensione crescente che sentiamo di dover “scaricare” al più presto per ritrovare uno stato di benessere. In quanto insita nella reazione primordiale cosiddetta di attacco-fuga, la rabbia è radicata nei fondamentali meccanismi psico-biologici della sopravvivenza; essa, come il dolore, turba il nostro stato di equilibrio per avvisarci di qualche minaccia, per permetterci di attaccare la fonte di tale minaccia e/o di fuggire da essa.

Per quanto riguarda poi le origini della nostra rabbia, esse sono sia interne che esterne. Un avvenimento esterno irritante può essere vissuto da un individuo,anche se infastidito, con relativa calma e da un altro con aggressività inaudita. Perché? Ognuno, durante l’arco del primo sviluppo, va incontro alla costituzione interna delle cosiddette mappe cognitive e di una serie di indicatori meno coscienti che noi chiameremo fattori inconsci. Durante i primi anni Cinquanta, lo psicoanalista inglese John Bowlby,definisce tre fasi fondamentali di risposta quando il bambino è temporaneamente abbandonato: protesta, disperazione, distacco. Seguendo ancora Bowlby, capiamo come la prima fase (quella della protesta) sia molto attinente all’emozione della rabbia. Con il comportamento del primo stadio, il bambino abbandonato esprime inizialmente la sua rabbia, che è un segnale preciso verso chi si deve occupare di lui e non lo fa. Se la formazione del nostro carattere è stata influenzata da un evento primario di abbandono, da adulti saremo particolarmente sensibili rispetto a tutti quei comportamenti, anche e soprattutto simbolici, che tenderanno a rievocare la nostra sofferenza primaria di abbandono. Infatti, spesso la rabbia nasce da fonti interiori. Allora, come prima cosa, cerchiamo di capire davvero perché siamo arrabbiati. Perché un’automobile che non rispetta la precedenza ci fa diventare folli di rabbia?

Certamente è una cosa che infastidisce ma, a meno che non stiamo vivendo una situazione di emergenza, non costituisce certo una minaccia alla nostra sopravvivenza. Tuttavia, se io sono una persona che non ha avuto un buon passato di considerazione sia da bambino che da adulto, mi irriterà, fino a farmi esplodere, secondo la gravità dell‘ “offesa“, qualsiasi comportamento altrui volto alla mia disconferma. A ognuno di noi, se ben ci pensiamo, è capitato di sentirsi arrabbiatissimo sebbene non ci fosse una minaccia effettiva, un pericolo oggettivo … (un saluto negato, qualche minuto di ritardo di una nostra amica ad un appuntamento con noi, etc)

Si tratta quindi di un vissuto che, sebbene attivato in maniera diversa, risulta comunque essere comune a tutte le persone e spesso vi è associato un senso di colpa per i motivi sociali e religiosi suddetti. Vi sono dunque forti pressioni che si trasformano e vengono interiorizzate sotto forma di credenze intermedie, ovvero assunti, credenze, valori che l’individuo assorbe dal contesto sociale, religioso e familiare, facendoli propri senza accorgersene, tant’è vero che avvertiamo l’emozione conseguente ad un gesto dettato dalla rabbia ma non il pensiero che ha generato il senso di colpa perché questo è per noi piuttosto difficile da individuare. La rabbia è un’emozione che mette dunque a disposizione molta energia, ma è quasi sempre scollegata da un processo cognitivo consapevole.

Secondo lo psicologo statunitense Albert Ellis vi sono due principali tipologie di collera:

esplosiva, ovvero disinibita. Sappiamo che è importante poter esprimere la propria rabbia. Tuttavia,anche se a volte può essere indispensabile per sopravvivere, nella maggior parte dei casi, cedere ai nostri impulsi ostili, “scaricare” senza controllo su chi ci sta di fronte la tensione del momento, non è affatto utile né benefico; anzi, a lungo andare, l’espressione frequente della rabbia può portare alla distruzione dei rapporti.

implosiva, ovvero inibita. Anche non scaricare la propria rabbia può essere nocivo sia per la chiarezza dei rapporti sia per la salute di chi la prova. È allora importante codificare delle regole di comportamento e adibire degli spazi e del tempo per permettere lo sfogo ragionato di tale emozione.

Secondo Ellis poi i principali meccanismi cognitivi che influenzano l’insorgere degli stati emotivi disfunzionali, tra cui la rabbia, sono distinti nelle seguenti tre categorie:

Processi cognitivi di tipo cognitivocome l’individuo percepisce e descrive la realtà.

Esempio: “Ho visto il Direttore entrare in ufficio con la sua segretaria”;

Processi cognitivi di tipo interpretativo; come l’individuo interpreta la realtà percepita.

Esempio: “Secondo me, il Direttore e la sua segretaria flirtano”;

Processi cognitivi di tipo valutativo.come l’individuo giudica o valuta ciò che ha interpretato.

Esempio: “Non è corretto che il Direttore stia sempre tanto tempo insieme alla sua segretaria”

L’insorgere degli stati emotivi disfunzionali e quindi della rabbia,  può derivare da errori che possono essersi verificati in ciascuna delle tre categorie.

Tali errori sono riscontrabili attraverso un’ANALISI FUNZIONALE, ovvero un’analisi della situazione determinando antecedenti, conseguenze e relative emozioni e che va sotto l’acronimo S.P. E. P. A. C. ( S = situazione; P’= pensiero; E = rabbia esplosa; P = rabbia implosa; A = azioni; C = conseguenze): ovviamente in psicoterapia lavoreremo su P’, ovvero sui pensieri che la persona fa e che innescano E,ovvero la rabbia esplosa. Si cercherà quindi di lavorare sulla formulazione di pensieri alternativi, rinforzando anche positivamente le risposte adattive, così da evitare il sequestro neuronale emotivo dovuto ad un eccesso di ormoni adrenalinici e noradrenalinici che inevitabilmente e univocamente porterebbero all’esplosione della collera.

Facciamo un esempio: al ristorante la cameriera vi fa aspettare (S) e pensate “E’ una maleducata, ma come si permette, io qui pago e voglio che il servizio sia veloce!” (P’), inevitabilmente esploderà la rabbia (E) e l’azione conseguente sarà urlare alla cameriera (A) che di conseguenza di metterà a piangere (C). Se nel trattamento per la gestione della collera andiamo quindi a lavorare sui pensieri è possibile che in P’ riuscirete a fare uno shift e passerete da “E’ un maleducata…” a “Non sono il solo cliente da servire, magari non è ancora pronto il mio piatto in cucina!” Potete notare che nel secondo caso non c’è un’esplosione di rabbia: cambiando il pensiero cambierà quindi anche l’emozione ( ma questo lo sapete bene, è il must della terapia cognitivo comportamentale!).



(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

http://psicotime.it/gestione-della-rabbia-aggressivita-psicoterapeuta-roma/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)