Jama Network Open: nuove ricerche sulla depressione
Cnr, chi soffre di depressione è più soggetto a credere alle fake news
Luperini: «Le emozioni si sono sviluppate per aiutare la sopravvivenza dei nostri antenati nella savana di 300.000 anni fa, oggi non sempre si rivelano funzionali
La pandemia di Covid-19 ha avuto effetti negativi sul benessere psicologico delle persone, basti pensare al lockdown, che ha stravolto le nostre abitudini di vita e interrotto i rapporti interpersonali, determinando in molte persone ansia, insonnia e depressione. E a testimoniare che gli italiani sono stati più depressi durante le fasi di lockdown, compresi i giovani tra i 18 e i 34 anni, è anche uno studio realizzato da Iss, basato sul sistema di sorveglianza Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia).
Secondo una ricerca pubblicata su “Jama Network Open” e condotta, su un campione di oltre 15.600 soggetti reclutati via internet e provenienti da 50 Stati degli Usa, da alcuni centri americani, tra cui il Massachusetts General Hospital, l’Harvard Medical School e il Boston Children’s Hospital, però, a credere alle false informazioni sui vaccini anti-Covid sono proprio i soggetti depressi. Il grado di depressione è stato valutato utilizzando Patient Health Questionnaire 9-item (PHQ-9); le domande consentono di distinguere in modo affidabile il grado di depressione in una scala che va da assente a moderata, fino a grave.
La depressione rende, cioè, meno capaci di districarsi in situazioni di infodemia. Ma come agisce questa condizione psicologica? “La depressione viene socialmente stigmatizzata: tuttavia, per la psicologia evoluzionistica, questa è, almeno nelle sue forme reattive, uno strumento di sopravvivenza; ad esempio, nello scontro con un nemico più forte ci aiuta ad accettare la sconfitta e preservare la vita. Un lupo può, dopo aver perso la sfida con il maschio Alpha, continuare a vivere nel branco, andare a caccia col maschio Alpha e sopravvivere all’inverno artico”, spiega Aldo Luperini ricercatore dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba) del Cnr, esperto in analisi dei comportamenti innati in ambito umano. “Negli anni ’60 del ‘900, lo psicologo statunitense Martin Seligman, con i suoi studi pionieristici sulle origini della depressione, aveva dimostrato che quando esseri umani o altri animali non hanno modo per sfuggire a sofferenza o disagio avviano un fenomeno comportamentale noto come impotenza appresa: rinunciano a lottare per sottrarsi alla sofferenza. Un topolino posto in una gabbia dove alternativamente metà del pavimento viene elettrificata impara subito a saltare da una parte all’altra. Ma se tutto il pavimento è elettrificato rinuncia a cercare riparo e, quando è posto nella gabbia con mezzo pavimento elettrificato, continua nella sua rinuncia”.
Situazioni particolari, come l’improvvisa diffusione del coronavirus, influiscono sullo stato depressivo. “A livello sociale, i sintomi della depressione compaiono e si acuiscono quando si percepisce che non vi è modo di sfuggire alla sofferenza e al lutto”, chiarisce il ricercatore del Cnr-Ibba. “Considerando assieme le valutazioni di Seligman e dello psicologo cognitivista Peter Cathcart Wason, secondo cui le persone tendono a cercare informazioni che confermino le loro convinzioni, risulta comprensibile come le persone che vivono la pandemia in modo depressivo cerchino informazioni sulla inefficacia o pericolosità dei vaccini. Spesso, infatti, si congiungono due meccanismi apparentemente contraddittori: il primo, autoconsolatorio, tende a far dire che in fondo il Covid è poco più di un raffreddore; il secondo, porta a cercare notizie che corroborino l’idea che i vaccini siano inefficaci o più pericolosi della malattia che tentano di prevenire”.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)