La depressione non è un prodotto della biochimica del cervello e dei livelli di serotonina
La depressione non è un prodotto della biochimica del cervello e dei livelli di serotonina
di David LazzariDa anni si moltiplicavano gli studi e le prese di posizione sulla inconsistenza della teoria, data per decenni come assodata, che la depressione fosse dovuta a uno squilibrio nella biochimica cerebrale, dovuto soprattutto alla serotonina.
Avevano fatto scalpore oltre dieci anni fa gli studi di Irving Kirsch (ed. ital. “I farmaci antidepressivi: il crollo di un mito. Dalle pillole della felicità alla cura integrata”) che mostravano come la maggior parte dei farmaci antidepressivi aveva una efficacia simile al placebo. Oggi una “systematic umbrella review” delle evidenze, cioè una analisi degli studi affidabili disponibili a livello internazionale coordinata da Joanna Moncrieff e Mark Horowitz (c’è anche l’italiano Simone Amendola) ha dimostrato, dati alla mano, che “la ricerca non supporta l’ipotesi che la depressione è causata da bassi livelli di serotonina”.
Una conclusione che vale considerando tutte le aree di ricerca nel campo: i livelli di serotonina nel sangue e nei fluidi cerebrali, i recettori serotoninergici, le proteine “transporter” che facilitano alcuni effetti della sostanza, le varianti genetiche. Alcuni risultati sono addirittura paradossali: l’attività serotoninergica risulta superiore nei soggetti depressi. Ci sono studi che hanno valutato nel tempo una riduzione dei livelli di s. prodotti artificialmente in soggetti volontari non trovando nessun effetto depressivo.
La notizia travalica il dato scientifico per assumere una forte connotazione culturale e sociale. Il messaggio che la depressione è solo “un prodotto della biochimica del cervello” non ha generato solo l’idea che c’è bisogno di una sostanza chimica (il farmaco) per curarla, ma anche – ed è dimostrato – un atteggiamento più pessimistico e fatalistico nelle persone rispetto al problema.
Anche altre cause puramente biologiche, come quelle genetiche, si sono mostrate deludenti. Non si diventa depressi per colpa dei geni, servono sempre delle situazioni, dei vissuti, che fanno la differenza. Oggi si parla molto dell’infiammazione come fattore di rischio ma lo stato infiammatorio del corpo, a parte avere una malattia, è per lo più la conseguenza di una condizione di stress. Quindi il cerchio si chiude.
Abbiamo una montagna di dati sul ruolo dell’infanzia, dei traumi, dello stress, delle relazioni disfunzionali: la psicologa USA Constance Hammen ha dedicato la sua vita a questo tema e ha offerto una sintesi di tutti questi fattori di rischio (2018). Basti pensare che una infanzia psicologicamente problematica, una madre sofferente di depressione, arrivano a triplicare il rischio di soffrire di depressione nelle fasi successive della vita.
(...omissis...)(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)