Psicofarmaci e benzodiapine: le dinamiche di abuso
Psicofarmaci, depressione, ansia 26-10-2016
PROBLEMI DERIVANTI DALL’USO DI PSICOFARMACI E BENZODIAZEPINE A LUNGO TERMINE NEI SOGGETTI TOSSICODIPENDENTI
E’ noto e frequentissimo l’utilizzo non prescritto di psicofarmaci di varia natura tra i tossicodipendenti da qualsiasi sostanza e di tutte le età essi siano. Tale fatto viene spesso sottovalutato nello stabilire un programma terapeutico di tipo residenziale (comunità), durante il quale il soggetto non potrà evidentemente procurarsi oltre alla sostanza primaria d’abuso, alcun psicofarmaco. La prescrizione di una terapia mirata alla riduzione dei sintomi astinenziali (terapia sintomatica), della sostanza o delle sostanze assunte (in caso di poliassuntore), non è sufficiente a “coprire” quelle che possono essere le carenze neurobiologiche, indotte dall’uso cronico di psicofarmaci. Per tale motivo, necessita una attenta valutazione anamnestica, da parte del personale dei SerT, tramite la quale valutare la possibilità o meno dell’inserimento in strutture residenziali di tipo comunitario, piuttosto che ospedaliere.
Sintomi quali depressione del tono dell’umore, insonnia, agitazione, ansia e attacchi di panico, sono spesso rivelatori di una astinenza da psicofarmaci; essi vanno pertanto ad interferire sulla possibilità di recupero del soggetto, a causa dello stato mentale che il tossicodipendente si trova ad affrontare in contemporanea all’astinenza dalla sostanza.
I farmaci di uso più comune tra i tossicodipendenti, sono le benzodiazepine con significato di sedativi ipnotici (Darkene®, Roipnol®, Minias®, Halcion®, Felison®), di ansiolitici (Valium®, Tavor®, Control®, Lorans®, En®,) e gli antidepressivi serotoninergici (fluoxetina, paroxetina, fluvoxamina, sertralina).
Il 30 % dei soggetti tossicodipendenti soffre di depressione (disturbo distimico o depressivo maggiore); il fatto che in alcune strutture non si prescrivano farmaci antidepressivi, è un forte limite, in quanto si nega all’utente la possibilità di essere un paziente psichiatrico.
Un ulteriore problema che ne deriva, è la valutazione del soggetto, che in questo secondo caso, verrà definito di doppia diagnosi (tossicodipendente con patologia psichiatrica), pur non essendo possibile accertare la causa dell’insorgenza della malattia psichiatrica (indotta dalle sostanze oppure congenita nel soggetto).
Le benzodiazepine funzionano da sedativi lavorando sui canali cellulari del cloro per effetto mediato dai recettori gabaergici. L’apertura dei canali del cloro, rende la cellula più negativa e quindi meno eccitabile, “acquietandola”. Essendo questa azione indotta dal, neurotrasmettitore GABA, non esiste per le benzodiazepine il rischio di un’intossicazione acuta e quindi il rischio di morte. Il GABA ha inoltre la caratteristica di inibire gli altri neurotrasmettitori (acetilcolina, dopamina, serotonina e soprattutto la noradrenalina) potenziando così l’azione sedativa. In modo diretto, vale a dire aumentando essi stessi la concentrazione del cloro intracellulare, funzionano l’alcol ed i barbiturici (fenobarbital -Gardenale®, Luminale®, Sabril®, Akineton®), per i quali esiste il rischio di intossicazione e quindi potenzialmente letali (coma alcolico, suicidio da ingestione di barbiturici). Inoltre alcol e benzodiazepine rispondono al fenomeno del sinergismo farmacologico.
La classificazione delle benzodiazepine, maggiormente interessante dal punto di vista pratico, è in base alla loro specifica durata d’azione. Va quindi valutata sempre l’emivita (T/2), tenendo presente che questa varia da soggetto a soggetto, e in presenza di diversi fattori; un’epatopatia di qualsiasi natura (e quindi vale anche per la frequentissima epatite virale C riscontrata nel tossicodipendente che utilizza droghe per via parenterale), aumenta, fino a raddoppiarla, l’emivita; da qui il rischio di accumulo nel caso di mantenimento di dosi elevate rispetto al modificato metabolismo epatico.
Il rischio maggiore riscontrato nel soggetto dedito all’utilizzo di benzodiazepine, è rappresentato dalla crisi d’astinenza che si manifesta in modo evidente raggiungendo il picco massimo intorno al 18° giorno con sintomi più frequenti (stati d’ansia, insonnia, irritabilità, nausea, cefalea, palpitazioni, tremori, sudorazione), meno frequenti (dolori muscolari, vomito, diminuzione della soglia sensoriale e percezionale, depressione) e rari (convulsioni e sintomi psicotici, questi solamente nel caso in cui l’uso sia stato ad altissime dosi). Inoltre, durante questo periodo, insorge fastidio per la luce e per i suoni intensi. Un’astinenza da benzodiazepine, farmacologicamente non controllata, può dare sintomi gravissimi, e può portare al decesso il paziente.
Per l’instaurarsi di una dipendenza da benzodiazepine, è necessario un tempo d’assunzione maggiore ai tre mesi (il tossicodipendente che giunge ai servizi, ne fa generalmente uso da anni).
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://normalarea.com/dipendenze-varie/psicofarmaci/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)