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Weizmann Institute of Science di Rehovot: nuovi trattamenti contro la depressione

Weizmann Institute of Science di Rehovot: nuovi trattamenti contro la depressione

 

La luce come farmaco per il cervello? In futuro potrebbe essere così

Si chiama optogenetica: è una nuova disciplina che vuole studiare e intervenire
sul cervello grazie alla genetica e a tecniche ottiche, per curare diverse malattie

È possibile manipolare il cervello con la luce? E, in futuro, curare malattie come il Parkinson o la depressione, l’Alzheimer o i disturbi post-traumatici da stress? Le domande non sono campate per aria. Nascono da una nuova, anzi, nuovissima disciplina scientifica che si chiama optogenetica: già la parola indica che sfrutta tecniche ottiche (la luce appunto) associate a manipolazioni del Dna, per studiare l’organo più complesso del corpo umano, il cervello, appunto. Occorre andare un po’ con ordine per spiegare di che cosa si tratta, perché la materia è piuttosto complessa: lo ha fatto Ofer Yizhar, scienziato israeliano del Dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute of Science di Rehovot al Festival della Scienza in corso a Genova, che si concluderà il prossimo 4 novembre.

Network cerebrali

«Il primo obiettivo è quello di studiare come funziona il cervello. Il secondo è quello di capire come interferire sui processi cerebrali alla base di malattie che al momento non hanno cura o ce l’hanno, ma non sempre efficace» ha commentato Yizhar. Al momento lo studio delle funzioni del cervello è affidato a strumenti un po’ grossolani e lo stesso vale per la sua manipolazione nel trattamento di certe malattie. Per esempio: nel campo della ricerca si può usare la risonanza magnetica funzionale per capire come reagiscono certe aree cerebrali in risposta a diversi stimoli. Oppure, nel campo delle cure, si può ricorrere alla stimolazione cerebrale profonda con l’impianto di elettrodi nel cervello per controllare certe forme di Parkinson. O ancora: usare la stimolazione trans-cranica, cioè applicata dall’esterno, per contrastare la dipendenza da droga. L’optogenetica va oltre. Spiega Yizhar: «Stiamo usando bombe. L’obiettivo è pensare a missili guidati (con l’optogenetica, appunto, ndr)».

 

I geni delle alghe

Una soluzione è venuta dalle alghe. Sì, le alghe. «Le alghe possono cambiare il loro comportamento in base alla luce, proprio perché producono proteine ad essa sensibili» precisa Yizhar. Ecco allora l’idea dell’optogenetica: sfruttare i geni di queste proteine delle alghe (si chiamano opsine e sono tante) e farli esprimere nei neuroni (cellule cerebrali) in modo da poterli manipolare con la luce (ognuna di queste proteina è sensibile a luci differenti, al blu o al giallo, per esempio) e studiare circuiti nervosi del cervello. «Al momento stiamo studiando il comportamento in animali da laboratorio, modificati geneticamente perché producano queste proteine - continua Yizhar - e in particolare ci stiamo concentrando sulla corteccia prefrontale, quella che ha a che fare con il controllo delle emozioni e con molte patologie psichiatriche, come la depressione o la schizofrenia. L’idea è quella di capire come i neuroni interagisco fra di loro come se stessero dialogando tutti su Facebook». 

 

Animali transgenici

Come? Con animali transgenici, cioè programmati perché producano nel cervello questo tipo di proteine attivabili con la luce. Ma un altro passo in avanti (che avvicinerebbe l’uso di queste tecniche sull’uomo) sono i virus. Se si pensa all’uomo, il problema è come far arrivare i geni di queste proteine, sensibili alla luce, nel loro cervello (perché il Dna degli uomini non si può manipolare come quello dei topi). «Anche in altre terapie i virus sono usati (come “cavallo di Troia”, ndr) , per inserire geni nel corpo umano» precisa il ricercatore israeliano. È una strada allo studio.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

https://www.corriere.it/salute/neuroscienze/18_ottobre_28/luce-come-farmaco-il-cervello-futuro-potrebbe-essere-cosi-65005406-d9fe-11e8-81e3-2cc49421c289.shtml

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)