Shopping compulsivo: 5 italiani su cento (?)
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Sempre più maschi e anche senza soldi ecco i nuovi schiavi dello shopping
La Repubblica.it 7 gennaio 2010
Comprare, comprare, comprare. Di tutto, sempre, per cause di forza maggiore. Anche se non si potrebbe, anche se il conto in banca non è lo stesso di Victoria Beckham. I saldi invogliano, ma anche il prezzo pieno gratifica. Si chiama shopping compulsivo: è il nome di un una patologia che affligge il 5 per cento degli italiani, l'85 per cento sono donne. C'è un centro specializzato in Italia che se ne occupa, molti ospedali e medici cominciano ad attrezzarsi. Perché è difficile capire: dove finisce il piacere e inizia la malattia?
Non solo scarpe e borse, non solo firmato: per lo shopper ossessivo basta che sia merce. Lo shopping compulsivo non è riconosciuto come un disordine dall'American Psychiatric Association nel Dsm-IV, il manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali accettato a livello internazionale per la classificazione delle malattie psichiche. Ma secondo molti tecnici lo sarà: è rapido e forte il fenomeno, interclassista e trasversale, globalizzato. Solo in Italia nell'ultimo decennio i compratori più che incalliti sono aumentati del 10 per cento, e accanto alle signore sono comparsi numerosi (+6 per cento) anche gli uomini.
Shopping addiction. Nuove dipendenze e noi nuovi "drogati": da internet, dai cellulari, dal gioco d'azzardo o dal cyber sex. La fenomenologia delle compulsioni nell'era della disponibilità è varia e spesso non facile da classificare. Finché è l'ex Spice girl che fa incetta di abiti da sera in maniera seriale e scarpe tacco 12, sembra tutto normale. O quasi: è ricca, dunque può scialacquare. Eppure anche lei si pente dopo aver comprato regali di Natale per un milione di euro: «Ho speso troppo. Il consumismo è come una droga. Più si ha e più si vuole avere». Nei suoi recenti giorni milanesi, è stata fotografata per vetrine: «Quando vado a Milano non so resistere. Gli oggetti in quelle meravigliose boutique mi dicono "comprami ti prego comprami"». L'alibi è buono: «Aiuta l'economia». Dichiarazioni (al periodico Girl) cui è seguita l'ipotesi che la signora abbia chiesto l'aiuto di uno psicologo inglese per guarire.
Non sarebbe la sola tra le star. Si è detto a un certo punto di Lady D, ricorsa a un medico dell'anima dopo essere arrivata a spendere anche 200mila sterline a settimana in vestiti, scarpe, borse e accessori. Nelle sue 60 stanze-armadio oltre tremila capi d'alta moda, il cui valore stimato dalla rivista People sarebbe stato di circa 2 milioni di dollari. Anche Paris Hilton avrebbe fatto ricorso a uno specialista, e così Lindsay Lohan. Britney Spears, Daria Zhukova, Eva Longoria, Christina Aguilera, Celine Dion e Camilla Parker Bowles continuerebbero invece a praticare inconsapevolmente la loro manìa.
Ma le anonime shopaholic, chi sono? «Gente comune, soprattutto 35-40enni, che non arriva alla quarta settimana del mese ma che finisce anche per commettere illeciti pur di comprare». Cesare Guerreschi è il fondatore e presidente della Siipac, la società italiana di intervento sulle patologie compulsive, il primo centro in Italia a occuparsi delle nuove dipendenze, 4 sedi e la principale a Bolzano, cominciarono nel 1999 con i problemi legati al gioco d'azzardo. «Abbiamo allargato il campo: dai disordini alimentari alle dipendenze dal lavoro, sesso, tecnologie. E appunto i disturbi legati allo shopping, patologia in verità già registrata dallo psichiatra svizzero Bleuler e poi da Freud con il termine "oniomania". Coercizione psichica all'atto dell'acquisto: per placare ansia e depressione». Hanno una comunità alla Siipac, dove i pazienti entrano per disintossicarsi: «Terapia psicologica, farmacologica, reinserimento sociale: molti perdono il lavoro e gli affetti». La vita consumata, sold out.